fbpx

La teoria dell’Attaccamento

Teoria dell’attaccamento e psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva

Il sistema di attaccamento fa parte dei sistemi motivazionali e occupa una posizione centrale in quanto consente di costruire una rappresentazione integrata di Sé (e dell’Altro) che è il presupposto per una buona salute mentale. Il modello clinico cognitivista ha infatti posto al centro dell’attenzione, durante lassessment, l’analisi delle dinamiche affettive durante tutto il percorso di vita del paziente, in un’ottica in cui i suoi sintomi e disturbi possano ritrovare un senso all’interno della cornice dell’attaccamento. Tuttavia, la teoria dell’Attaccamento di Bowlby (1969) negli ultimi decenni è diventata una sorta di “crocevia” su cui si basano pressoché tutti i modelli cognitivisti e alcuni psicodinamici (Lambruschi, 2004). Infatti negli anni Settanta la teoria dell’attaccamento era ancora lontana dal successo che vanta ai giorni nostri. Se da una parte i clinici cognitivisti più ortodossi consideravano tale teoria in sintonia con la terapia psicoanalitica per il ruolo conferito agli aspetti della storia affettiva del paziente, dall’altra i clinici psicodinamici la consideravano troppo “cognitiva” e “superficiale” per poter valorizzare in modo adeguato i processi inconsci. Fu grazie a Guidano e Liotti che il cognitivismo clinico italiano si avvicinò alla teoria dell’attaccamento il quale venne attratto da alcune caratteristiche della stessa come la tendenza a fondare le sue radici sui metodi della psicologia sperimentale e della scienza cognitiva, dell’etologia, della neurobiologia e dell’epistemologia evoluzionista. Il cognitivismo e la teoria dell’attaccamento avevano infatti in comune un’attitudine a mettere in relazione costante la clinica con la ricerca scientifica. Inoltre la teorizzazione che propone Bowlby dei processi di interiorizzazione della relazione, ovvero i Modelli Operativi Interni, ben si adattano alla visione cognitivista della conoscenza umana intesa come insieme di “schemi”, “costrutti” e “regole” che guidano l’assimilazione delle esperienze, l’elaborazione dell’informazione, l’agire e il sentire dell’individuo (Lambruschi, 2004). In questo contesto un ruolo fondamentale è costituito dal che rappresenta un modello invariante attraverso il quale i processi psicologici si organizzano. Senza tale organizzazione non saremmo in grado neppure di distinguere noi stessi dagli altri o dal mondo e non potremmo esperire il senso di continuità e coerenza del Sé che fungono da fattori di protezione nei confronti della psicopatologia. In questo senso il Sé viene visto come qualcosa che viene riconosciuto dall’Altro, grazie al quale il bambino impara ad avere coscienza di sé. Risulta evidente come il Sé non possa essere concepito separato dall’altro ma in stretta interdipendenza con lui. La teoria dell’attaccamento ha anche il merito di aver promosso indirettamente una nuova visione della teoria della motivazione umana, mettendo in primo piano nella gerarchia dei bisogni dell’individuo, quello che riguarda la relazione che non è più vista come un mezzo per raggiungere scopi pulsionali ma come obiettivo di per sé.

E’ in questo contesto intersoggettivo che dobbiamo inquadrare i nostri pazienti se vogliamo comprendere il senso del loro comportamento e delle loro emozioni e questo vale ancor di più se i pazienti sono in età evolutiva.

Ma qual è il “carburante” della motivazione alla relazione? A tal proposito esistono varie opinioni tra gli studiosi. La posizione biologica sostiene che la motivazione dell’essere umano a stare in relazione è una disposizione innata che, insieme ad altre di cui è naturalmente dotato, si è tramandata filogeneticamente per preservare la specie. La Infant Research ha ormai ampiamente dimostrato che l’immagine del neonato immerso in una sorta di condizione autistica primaria, che solo successivamente si orienta verso il mondo sociale, non è più sostenibile (Lambruschi, 2004). Per di più, alcuni studi svolti sui sistemi percettivi del neonato hanno potuto constatare che l’oggetto per loro più interessante è costituito proprio dagli altri esseri umani.  I pattern di attaccamento nei bambini più piccoli possono essere desunti solo attraverso l’osservazione attenta del loro comportamento in situazioni di pericolo che attivano tale sistema.

Ainsworth et al., (1978) attraverso la procedura della Strange Situation* poté riscontrare tre diverse configurazioni dell’attaccamento:

  • Sicuro;
  • Ansioso-evitante;
  • Ansioso-resistente (o ambivalente).

Secondo Ainsworth et al., (1978) le configurazioni d’attaccamento corrispondono a diverse modalità del bambino di integrare l’informazione “cognitiva” con quella “affettiva”. Ad esempio, un bambino con un pattern di attaccamento sicuro, dal momento in cui fa esperienza di risposte coerenti e prevedibili da parte della figura di attaccamento è in grado sia di cogliere relazioni causali e spazio-temporali tra gli eventi attraverso la neocorteccia che consente un ordinamento cognitivo dell’informazione, sia di connettere le informazioni sensoriali relative ai contesti di pericolo (o di sicurezza) con le proprie sensazioni provenienti dal cervello “limbico”, e quindi di organizzare affettivamente l’informazione.

Tali configurazioni possono essere identificate attraverso degli indicatori specifici, quali:

  • Specifici pattern interattivi osservabili sul piano comportamentale;
  • Specifiche strategie di protezione dal pericolo;
  • Dal punto di vista cognitivo informazionale, specifiche modalità di elaborazione dell’informazione sul Sé e sul mondo.

Link utili:

Condividi: