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Lo stress

Le principali teorie sullo stress

Non è facile fornire una definizione psicologica di “stress” (Selye, 1956), data la natura estremamente soggettiva delle esperienze associate a questo termine. Sarà più chiaro quello che intendo dire, esplorando brevemente alcune teorie che chiariscono come siano gli aspetti emotivi (e cognitivi) e non l’evento in sé a far sì che quest’ultimo venga percepito mentalmente e vissuto fisiologicamente come stressante. Lo stress di per sé non è infatti negativo, anzi, come evidenzia la legge di Yerkes-Dodson (1908) esso può rivelarsi produttivo a certe dosi. Molto più spesso sono negative, ovvero disfunzionali, le modalità con cui facciamo fronte a eventi potenzialmente stressogeni, piuttosto che gli eventi in sé. In realtà è il termine stesso “stress” nella lingua italiana ad essere fuorviante, in quanto non tiene conto della distinzione che fece Selye tra “stressor” e “stress”, e tra “distress” e “eustress”, mantenuta invece nella lingua anglosassone. Vedremo qui di seguito in che cosa si differenziano queste diverse accezioni di stress, nonché le principali teorie sullo stress, per comprendere meglio quali siano i fattori emotivi e cognitivi che concorrono alla percezione di un evento come stressante. In particolare, ti presenterò la teoria di Selye, lo stesso autore che coniò il termine “stress” e, dopo averne brevemente illustrato gli aspetti salienti, procederò con l’illustrarti le principali teorie che riguardano il ruolo giocato dalle emozioni nell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene, ovvero l’asse dello stress.

La Sindrome Generale di Adattamento (GAS)

Tutti noi abbiamo sentito parlare di stress eppure non è facile fornirne una definizione, data la natura estremamente soggettiva delle esperienze associate a questo termine. Le definizioni riportate sul vocabolario descrivono lo stress come uno stato di tensione emotiva, fisica o mentale, oppure come una condizione o una sensazione esperita quando una persona percepisce che la richiesta è superiore alle risorse personali e sociali a sua disposizione”. Storicamente, i primi studi sullo stress si concentrarono sulle reazioni fisiche associate al fenomeno. All’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso Cannon(link emozioni) (1932), rifacendosi al concetto di milieu intérieur (ambiente interno) di Bernard, propose il principio di omeostasi (Cannon, 1932), secondo cui l’organismo tende a mantenere un equilibrio dinamico tra il suo interno e il mondo esterno. Se l’equilibrio omeostatico viene meno, la reazione dell’organismo è finalizzata a ripristinarlo. Dal punto di vista di Cannon, l’equilibrio omoeostatico è inteso non solamente in senso fisico, ma anche emotivo. Il termine “stress” venne coniato da Hans Selye, secondo il quale lo stress è una risposta  non specifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata nei suoi confronti (Selye, 1936).

Lo stesso autore distinse tra:

  • Stressor: una situazione-stimolo di natura fisica o psicologica che genera un’attivazione fisiologica nell’organismo;
  • Stress: la risposta generica del nostro organismo allo stimolo stressante.

La somma di tutte le reazioni che si manifestano nell’organismo in seguito alla prolungata esposizione ad uno stressor è stata definita da Selye “sindrome generale di adattamento” (GAS) ed è costituita da 3 fasi:

  1. Fase di allarme: uno sforzo improvviso (fisico e/o psichico) attiva il Sistema Nervoso Autonomo e precisamente la componente del Sistema Nervoso Simpatico (asse ipotalamo-ipofisi-surrene). L’organismo si allerta e si attiva per fronteggiarlo attraverso la messa in circolo di adrenalina e noradrenalina.
  2. Fase di resistenza: se lo sforzo prosegue nel tempo, l’organismo cerca di adattarsi, ma questo può portare alla formazione di ulcere gastrointestinali ed all’ingrossamento delle ghiandole surrenali, in seguito alla produzione eccessiva di cortisolo che viene prodotto dall’organismo in questa fase.
  3. Fase di esaurimento: in questa fase, in situazioni di stress sostenibili, si assiste ad una progressiva diminuzione dell’attività del sistema simpatico e ad un aumento di quella del parasimpatico.

Quando l’esposizione all’evento stressante si protrae invece in modo abnorme e l’organismo non può mantenere oltre lo stato di resistenza, l’organismo esaurisce le energie impiegate nell’adattamento e rischia danni irreversibili (Bottaccioli, 2005). La sindrome generale di adattamento è alla base di numerosi disturbi psicosomatici.  Lo stress è causato non solo da sforzi fisici intensi e da fattori avversi come potrebbero essere il freddo o la fame, ma anche da fattori psicosociali come i tratti di personalità, le aspettative proprie ed altrui, l’incapacità a fronteggiare piccoli e grandi problemi della vita quotidiana, ma anche da abitudini, stili di vita e credenze. Lo stress è un’inevitabile conseguenza della vita. La reazione di stress non è inoltre da ritenere negativa in senso generale infatti, come detto in precedenza, essa è funzionale all’adattamento dell’individuo nel suo ambiente.

A questo proposito, Selye distingue due tipologie di stress:

  • Distress: è il cosiddetto stress nocivo perché può portare l’individuo alla terza fase della GAS. Si riferisce a ciò che nel linguaggio comune viene definito “stress”.
  • Eustress: rappresenta lo stress positivo, che è funzionale all’adattamento e al raggiungimento degli obiettivi, come possono essere il vincere una gara o superare un esame.

La Teoria della Reazione Emozionale

Fu John Mason (1971) a chiarire il ruolo decisivo dell’attivazione emozionale relativamente allo stress: attraverso una serie di ricerche, egli dimostrò come l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene (asse dello stress) fosse data non dalla semplice esposizione all’evento stressante, quanto dalla reazione emozionale indotta dagli stimoli stessi. Pertanto, non sarebbe la situazione in sé ad attivare la sensazione di stress, quanto la risonanza emotiva che questa ha per noi. Quindi sarebbe più opportuno parlare di “stress soggettivo”. Le emozioni, a loro volta, sono determinate dalla nostra valutazione cognitiva dello stimolo e, a tal proposito, Mason (1971) chiarisce che un fattore determinante in tale valutazione è costituito dalla mancanza di certezza che evoca in noi lo stressor.

Il Modello Transazionale

Il concetto di stress soggettivo venne approfondito da Lazarus (Lazarus, 1977) nel suo “modello transazionale”, nel quale definisce lo stress come la condizione derivante dall’interazione (transazione) di variabili ambientali e individuali, che vengono mediate da variabili di tipo cognitivo. Secondo questo modello, lo stress sarebbe quindi qualcosa di dinamico e relazionale. Con Lazarus compare per la prima volta il concetto di stress psicologico. Con tale concetto, l’autore sottolinea la componente soggettiva dell’evento stressante, ovvero che è la valutazione cognitiva che l’individuo compie dell’evento stressante a causare l’attivazione dell’asse dello stress. Il fatto che lo stress sia soggettivo, è dimostrabile con il semplice fatto che alla medesima situazione non tutti reagiscono allo stesso modo. In questo senso nessun evento, pur negativo che sia, può essere considerato aprioristicamente patogenetico, così come ogni evento suscettibile di produrre una reazione emozionale potrebbe essere potenzialmente stressante.

Secondo il modello di Lazarus, la risposta dell’individuo allo stress è influenzata da almeno due tipi di valutazioni:

  1. Valutazione dello stimolo
  2. Valutazione di sé e della propria efficacia (Lazarus, 1976).

Alla luce di queste valutazioni, risulta chiaro quanto siano importanti il senso di autoefficacia (Bandura, 2012) e l’autostima dell’individuo per far fronte, in modo adeguato, agli eventi a cui la vita lo sottopone.

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