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Chi sono

Dott.ssa Ludovica Ballone

Psicoterapeuta cognitivo comportamentale ad Ancona e Castelfidardo

Sono la Dott.ssa Ludovica Ballone, psicologa clinica e psicoterapeuta cognitivo comportamentale, facilitatrice mindfulness, terapeuta EMDR di I livello. Mi occupo di psicoterapia individuale e di coppia. Ho conseguito il primo e secondo livello di Terapia Metacognitiva Interpersonale per i disturbi di personalità.

Le mie principali aree di intervento sono: disturbi d’ansia e del tono dell’umore, disturbi di personalità, problematiche di coppia e relazionali, bassa autostima e gestione dello stress.
Elaboro percorsi terapeutici personalizzati basati sull’ascolto, l’empatia e la professionalità per superare momenti di difficoltà con l’obiettivo di recuperare l’armonia psicofisica ed il benessere della persona nei tempi e nei modi adeguati alle specifiche necessità del paziente.

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Chi sono? Che lavoro faccio?

Di fronte a questa domanda potrei scegliere tra due risposte principali: “sono una psicologa” o “faccio la psicologa”.

Se ti stai chiedendo perché io stia facendo questa analisi semantica dei due verbi “essere” e fare”, è perché c’è una profonda differenza tra l’essere e il fare. Hai presente la differenza nell’atteggiamento tra il fare qualcosa perché ti appassiona e qualcosa che fai perché la devi fare? Io ad esempio amo cucinare e quando mi trovo difronte a una ricetta da testare ho quella sensazione di diventare un tutt’uno con essa, la mente e il corpo sono entrambe lì, connesse per l’obiettivo. Se provo invece a pensare a quando devo pulire la cucina (che non mi piace per nulla), il mio corpo è lì (per forza) ma la mia mente è da tutt’altra parte, il che spesso si traduce in sbadataggini! E’ difficile tradurre in un linguaggio scientifico il significato dell’essere ma non c’è bisogno di una spiegazione scientifica per sapere di esserci, basti pensare al “Cogito ergo sum” di Cartesio. 

Essere è un punto di partenza non di arrivo. Essere è curiosità. E la curiosità è il motore della scienza. La curiosità nei confronti di quell’unico organo capace di porsi domande su sé stesso, capace di farci vivere in posti e tempi diversi da quelli in cui siamo in realtà (il che non è sempre positivo!) è stato proprio ciò che mi ha spinto a diventare un’esperta delle funzioni del cervello. Ed essendo la peculiarità del cervello quella di riflettere e apprendere, una delle tecniche principali per conoscerlo è proprio quella di fargli domande, incuriosirlo su di sé e fargli fare nuove esperienze. 

Poiché la mania di controllo, molto diffusa nella nostra società, non ha risparmiato nemmeno me, l’obiettivo primario della mia iscrizione alla facoltà di Psicologia era quello di imparare a controllare tutto ciò che percepivo come poco controllabile. Nel tempo ho sostituito il verbo “controllare” con il verbo “gestire”, e successivamente ancora, ci ho affiancato il verbo “accettare”. E’ un po’ come accade nelle storie d’amore, in cui ci sono tre fasi: innamoramento, delusione e disillusione. Durante la fase dell’innamoramento che si basa sull’illusione di come noi ci vediamo a fianco dell’altro, io mi vedevo una psicologa in grado di controllare quasi tutto ed ero innamorata di questa immagine di me stessa; poi è subentrata (credo già alla decima lezione) la delusione, e mi sono trovata a gestire questa emozione: in questa fase, che è durata anni, mi è venuta in soccorso la Terapia Cognitivo Comportamentale, su cui poi ho deciso di specializzarmi. Infine mi sono resa conto che in realtà il fatto di non poter controllare tante cose significava avere molti meno problemi da risolvere (se non c’è una soluzione perché devo preoccuparmi?) e che bastava semplicemente accettarli. Semplicemente non fa rima con facilmente. Hai presente quanto è semplice una dieta? Hai presente quanto non sia facile seguirla? Ebbene, nella fase della disillusione, che coincide con il vero amore, è arrivata in mio soccorso la Mindfulness. Quando dico che amo il mio lavoro non lo dico a caso! 

Durante un viaggio in Thailandia mi colpì tantissimo la sensazione di pace che mi accompagnò per tutto il viaggio (e l’ho girata quasi tutta, eh!).

Eravamo quattro psicologi in viaggio fu quindi semplice interrogarsi sul perché di ciò. Cercavo una risposta nei sorrisi autentici, nell’espressività autentica delle più svariate emozioni, nella sorprendente tranquillità di fronte alla consapevolezza dell’arrivo imminente di un tornado che sarebbe passato proprio sopra il nostro villaggio, nel cibo semplice e coloratissimo, nei suoi odori naturali che erano già di per sé sufficienti a regalarti un viaggio nelle risaie o nelle acque verde smeraldo di Phi Phi Island. Immagini e sensazioni che ti rapivano e ti trattenevano nel momento presente. Era talmente distante quella realtà da ciò che mi aspettava al ritorno dalle ferie in Occidente, dove rincorrevo sempre il momento successivo per paura di arrivarci in ritardo, che decisi di portarmi come souvenir Thailandese l’atteggiamento che mi ha insegnato quel viaggio. Qui nacque la mia passione per la mindfulness. 

Non fu semplice conciliare questo atteggiamento con la realtà occidentale che è improntata al cosiddetto Multitasking, di cui io ero un’esperta. 

La dicotomia razionalità-passione è stata una tematica che nella mia vita tornava spesso. 

Vuoi sapere come l’ho risolta?

C’è tutta una storia dietro (come per tutto), ma questa vorrei raccontartela perché mi rappresenta più di tanti curricula che ho compilato.

Per la mia professione di psicoterapeuta ho scelto un approccio cognitivo comportamentale perché risponde al mio bisogno di avere punti fermi scientificamente provati ed efficaci, che non facciano perdere tempo né a me né ai miei pazienti.

Stessa storia ai tempi del liceo classico: avevo scelto una scuola che mi fornisse delle basi “sicure” e non lasciasse troppo spazio per “perdersi”. Per perdersi intendo proprio quella sensazione di cui ti parlavo all’inizio quando si fanno delle attività che ci appassionano talmente tanto da non permetterci di evadere da essa e mettere in atto il multitasking. Ho perso anni a trascurare le mie passioni per dedicarmi al multitasking per poi scoprire che l’efficacia di quest’ultimo era solo un’illusione.

Grazie al pensiero prevalentemente “verticale” del liceo classico ho imparato ad apprezzare il “pensiero laterale” dell’Istituto d’Arte presso il quale mi sono trasferita al quarto anno del Liceo, non senza sforzi, ma ho imparato che nessun grande cambiamento avviene senza un grande sforzo.

Grazie all’approccio cognitivo comportamentale basato sugli studi evidence-based ho imparato che non c’è alcuna evidenza del significato negativo che IO attribuivo in modo automatico al “perdersi” e ho addirittura scoperto che questo “perdermi” significava RITROVARMI, ed essere più efficace e produttiva.

Ho ritrovato me stessa nella tradizione degli studi classici, ho trovato me stessa nell’anticonvenzionalità degli studi artistici, ho trovato me stessa nel rigore scientifico della CBT, ho ritrovato me stessa nella flessibilità di alcuni concetti delle discipline orientali,

ho ritrovato questi ultimi nella CBT e in quest’ultima ho trovato affinità col buddismo

ho RITROVATO me stessa nell’accettare di avere tante apparenti contraddizioni che danno valore alle mie scelte, personali e professionali.

Ho ritrovato me stessa nel perdermi nelle passioni per poi ritrovarmi più ricca, anche come professionista.

Ho imparato così ad accettare la me stessa che rimane quel che è malgrado io possa a volte desiderare di essere diversa. Ho imparato addirittura a dire grazie a me stessa perché rimanendo ciò che sono indipendente dal mio volere, incarno l’unità di misura della mia unica certezza: il mio presente, che è come è.

Il momento presente è il punto da cui partire per tornare ad ESSERE piuttosto che FARE. 

Ecco perché ho deciso di raccontarti la mia storia per spiegarti il mio lavoro, perché essere una psicologa non coincide con ciò che faccio ma con la mia storia e con ciò che sono, anche al di fuori dello studio. 

Ovunque sono contemplo la bellezza dei pensieri che ci consentono di viaggiare altrove senza tuttavia farci allontanare da ciò che siamo.

Perderci per poi ritrovarsi. Questa credo sia l’essenza del mio lavoro.

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