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Cosa succede se non elaboro un lutto?

Affrontare la morte di qualcuno a noi caro è un compito umano molto difficile indipendentemente dall’età. La morte di un caro segna infatti un’assenza definitiva della presenza fisica di una persona importante che si può tradurre in chi rimane in un vuoto emotivo o al contrario, in un’invasione di pensieri intrusivi, o ancora in un alternarsi di questi due stati.

Freud (1991-1912), nell’affrontare il tema del lutto lo definì come un processo atto a staccare dai morti i ricordi e le aspettative dai superstiti. Al contrario, Bowlby (1980) ritiene che i legami di attaccamento tendano a persistere anche oltre la morte ed è sano che non avvenga mai un completo distacco.

L’amore per una persona amata che non c’è più non deve quindi risolversi necessariamente nell’oblio ma può trasformarsi in un legame altrettanto forte ma sorretto dal ricordo.

Le quattro fasi del lutto

Il processo del lutto e la sua elaborazione avvengono in quattro fasi: lo stordimento, la ricerca e lo struggimento, la disorganizzazione e la riorganizzazione.

1. Lo stordimento: in questa fase la persona non riesce a realizzare quanto sia accaduto. Questa sensazione è tanto più amplificata quanto più il lutto avviene in modo improvviso. Questa reazione è fisiologica e permette ai superstiti di adattarsi gradualmente alla percezione di dolore dovuta alla perdita.

Pensieri tipici di questa fase sono: “non riesco a crederci”, “mi sento come se fossi in un incubo da cui non riesco a svegliarmi”.

2. Ricerca e struggimento: in questa fase la persona inizia a fare i conti con la realtà della perdita anche se lo fa in modo conflittuale: la persona alterna sentimenti d’irrealtà (che le consentono di tenere lontano il dolore) a tentativi di realizzare quanto accaduto. In questa fase si assiste a un passaggio progressivo da sensazioni come se la persona cara fosse ancora presente a un senso di perdita, dolore e irrequietezza. A volte il pianto compare non prima di questa fase, caratterizzata spesso anche da scoppi di collera. La rabbia può essere rivolta verso sé stessi per non aver scongiurato la morte in qualsiasi modo (anche irrazionale o inverosimile) o anche al defunto per non essersi preso abbastanza cura di sé o verso terzi anche senza ragioni oggettive o razionali. Il cercare di trovare una “causa” è sintomo del tentativo di razionalizzare quanto avvenuto e di trovare un senso a un avvenimento difficile da accettare.

3 Disorganizzazione: in questa fase la realtà della perdita diventa incontrovertibile. Il superstite assiste giorno per giorno al crollo di tutte le abitudini legate in qualche modo al defunto e la sua vita sembra perdere i significati legati al caro scomparso. Questa è la fase in cui il dolore si avverte in modo più intenso e reale e tutto il resto sembra passare in secondo piano.

Questa fase è superabile se la persona ha le giuste risorse affettive ed emotive per prendere atto della perdita, affrontarla e riorganizzare la propria vita alla luce della nuova situazione. In questo caso il superstite passa un po’ alla volta alla quarta e ultima fase del lutto.

4. Riorganizzazione: questa fase è caratterizzata dal riprendere a fare nuovi progetti alla luce di una avvenuta ridefinizione della propria vita e di sé senza il defunto. Si abbandona progressivamente l’illusione di riavere il defunto in vita e si comincia a guardare avanti decidendo quali abitudini possono (e vogliono) essere conservate e quali no in relazione al cambiamento avvenuto. Si assiste spesso in questa fase al mantenimento o all’investimento su alcune attività collegate al defunto che consentono di mantenerne vivo il ricordo.

Tipici pensieri di un lutto “risolto” o in “fase di risoluzione” sono: “mi sembra di essermi risvegliato solo ora”, “ho la sensazione di aver smesso di vivere fino ad ora”.

Al contrario, un lutto “non risolto” può essere caratterizzato dall’assenza di dolore o al contrario, dal permanere cronico di sentimenti di rabbia, colpa o di irrealtà.

Se negare la perdita e la sofferenza può da un lato permettere di sentire meno dolore dall’altro anestetizza anche tutte le emozioni positive legate al caro privando l’individuo di tutta una gamma di esperienze emotive che lo aiuterebbero a mantenere un sano ricordo del defunto e a connettersi con gli affetti che ha intorno. L’evitamento delle emozioni inoltre non consente un sano susseguirsi delle fasi fisiologiche del lutto. Inoltre, chi resta distante dalle proprie emozioni avrà difficoltà a stare con sé stesso, a guardarsi, ad ascoltarsi… in poche parole a stare in intimità con sé stesso e di conseguenza farà fatica anche ad entrare in intimità con l’altro (che soprattutto in questi momenti può essere fonte di prezioso supporto).

D’altro canto, la permanenza di un livello troppo elevato di dolore può impedire una sana accettazione di un evento doloroso facendo vivere il superstite in uno stato di dolore cronico.

 

Articolo pubblicato su Vivere la Psicologia il 2/05/23

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