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Credevo di essere io e invece era solo il mio avatar: 2 esercizi per aiutarti a creare la versione migliore di te e della tua vita

E se questa non fosse la tua vita reale?

Ognuno di noi conduce la propria vita non per ciò che è ma per ciò che la crede essere.

Allo stesso modo ci relazioniamo con gli altri e con le situazioni non per ciò che sono ma per l’idea che abbiamo di loro.

La realtà in cui viviamo è come se fosse una rappresentazione all’interno della quale si muove la rappresentazione che abbiamo di noi stessi.

Un po’ come se fossimo degli avatar immersi in un metaverso.

Il “metaverso” in cui è immerso ognuno di noi è definito dalle credenze (o rappresentazioni) che abbiamo di noi stessi, degli altri e della vita.

Di conseguenza, non vediamo (e quindi nemmeno possiamo sfruttare) tutte le nostre potenzialità ma solo quelle contemplate dalla rappresentazione che abbiamo di noi stessi e da questa dipendono, a loro volta, le occasioni che la vita ci offre e che riusciamo a cogliere.

Alla luce di ciò, dovrebbe essere chiaro quanto sia importante la rappresentazione che ognuno ha di sé.

Tale rappresentazione non coincide con la persona che siamo effettivamente ma con il riassunto soggettivo di ciò che percepiamo essere le caratteristiche che più ci definiscono.

Per riprendere la similitudine iniziale, è come se ci muovessimo nel mondo con un avatar, ovvero un’immagine semplificata che riteniamo rappresenti la nostra persona.

Parlerò di avatar in luogo di rappresentazione di sé.

Ti sei mai chiesto qual è l’avatar con cui ti muovi nella vita?

Esercizio 1:

  1. Prova chiudere gli occhi e ad immaginare il tuo avatar.
  2. Disegna il tuo avatar
  3. Scegliere 5 aggettivi con cui descriveresti il tuo avatar esteticamente e caratterialmente

L’insieme delle valutazioni che l’individuo fa di sé è ciò che comunemente chiamiamo autostima.

Poiché dalla valutazione che facciamo di noi stessi dipende il modo in cui ci muoviamo nel mondo possiamo dire che l’autostima determina le nostre relazioni, le nostre scelte…la nostra vita. L’autostima è un’idea e, come tutte le altre idee, può essere modificata. Poco più avanti vedremo come ma prima di tutto, è importante capire come si forma quella determinata idea che ognuno ha di sé, ovvero il proprio avatar.

Chi ha disegnato il mio avatar?

L’autostima si struttura sulla base delle nostre esperienze e di come le interpretiamo. Le esperienze che hanno maggior impatto sulla creazione dell’immagine di sé sono quelle che avvengono nei primi anni di vita. Vien da sé quindi quanto sia importante per l’autostima il feedback che proviene dalle figure di accudimento. Tale feedback, ovvero l’insieme delle risposte implicite ed esplicite da parte dei genitori ai comportamenti del figlio, non è determinato sempre e solo dalle effettive “performance” di quest’ultimo ma molto più spesso dalle aspettative, paure e convinzioni dei genitori che dipendono a loro volta dall’idea che essi possiedono di loro stessi come genitori (potremmo definirlo “avatar genitoriale”). Un figlio che viene additato come fragile, ad esempio, non equivale sempre a un figlio che ha fatto effettivamente qualcosa “da fragile” ma a un figlio che ha fatto qualcosa che viene interpretato in tale modo dai genitori, che a loro volta sono influenzati dalle rispettive idee di sé. L’idea che abbiamo di noi stessi e delle nostre capacità non è quindi basata solo sui fatti ma molto più spesso sull’idea che gli altri ci hanno rimandato di noi, filtrata quindi dalle loro convinzioni e insicurezze.

Ma il problema non finisce qui anzi, è proprio qui che può nascere: se è vero, infatti, che non sono sempre i nostri effettivi fallimenti a determinare una bassa autostima è anche vero che una bassa autostima può determinare fallimenti.

Provo a riportare due esempi. Consideriamo la nostra autostima come un avatar.

Esempio 1: Se percepisco il mio avatar come debole e insicuro e mi viene proposto di partecipare a una gara sarò portata a non partecipare non potendo così verificare se il mio avatar sarebbe stato effettivamente all’altezza perché do per scontato che non lo sia. L’idea di me (presumibilmente non completamente vera) “sono debole e insicura”, assecondandola, si trasforma così in fatto: “non ci sono riuscita”. La rappresentazione di me come debole e insicura verrà così consolidata.

Esempio 2: Se ho una rappresentazione del mio avatar come sbagliata trovandomi in una discussione con una persona che ha un’idea diversa dalla mia sarò portata a pensare che sono io che ho torto, lasciandomi quindi convincere che l’idea dell’altro sia migliore della mia senza nemmeno fare troppe verifiche. L’idea di me (presumibilmente non completamente vera) “sono sbagliata”, assecondandola, si trasforma così in fatto: “la mia tesi era debole”. Rinforzerò così l’immagine di me come sbagliata.

Questo meccanismo, tale per cui ciò che credo, anche se non vero o non completamente vero, finisce poi per diventarlo, prende il nome di Profezia che si autoavvera e costituisce il blocco principale al cambiamento dell’idea che ho di meperché impedisce di vedere altre versioni possibili di sé più funzionali e positive.

Infatti, se è vero che la prima bozza del nostro avatar la disegnano i nostri caregiver, le conferme di quella bozza siamo noi stessi a “cercarle” in modo inconsapevole nelle successive relazioni e azioni. A forza di ricalcare la bozza del nostro avatar, quella bozza prende sempre più forma e consistenza.

Come puoi modificare il tuo avatar (e quindi la tua vita)? 

Esercizio 2

  1. Definisci il tuo avatar attuale: scrivi qui le 5 caratteristiche che hai trovato nell’esercizio precedente. Ad esse affianca 5 aggettivi che secondo te ti avrebbe attribuito ciascuna figura di accudimento (solitamente madre e padre) quando eri piccolo (0-12 anni).
  2. Nota che effetto ti fanno questi aggettivi: ti ci ritrovi? Oppure, hai passato buona parte della tua vita a cercare di smentirli?
  3. Prendi consapevolezza del fatto che l’autostima è un’idea e come tutte le idee è possibile modificarla
  4. Fai crescere il tuo avatar: inizia a mettere in discussione gli aggettivi che ti sei attribuito e che non ti piacciono iniziando a sperimentare gradualmente attività che non reputi alla tua altezza.

Nb. Attenzione alla Profezia che si auto-avvera!

Mi spiego meglio. Inizialmente, se le sfide che ti poni non dovessero andare come desideri e, ad esempio, vedi il tuo avatar come un fallito, sarai portato a dirti “Ecco, lo sapevo che sono un fallito!” e il rischio è che tale fallimento vada a rafforzare il vecchio sgradito avatar, che se ne tornerebbe con la testa bassa a fare “robe per falliti”. Per evitare questo rischio, non devi demordere. Un fallimento non rende una persona fallita, neanche due o tre o cento. È semplicemente una persona che ha fatto x fallimenti ma che, nel frattempo che fallisce, inizierà a maturare l’idea di sé come uno che non demorde, uno che non si fa vincere dai fallimenti, una persona che è molto di più di qualche suo fallimento, uno che “anche se fallisco ne vale la pena”, uno che “chissenefrega del fallimento basta che sono felice” e a mano a mano il vecchio avatar lascerà spazio a quello nuovo senza che nemmeno te ne accorgerai.

  1. Prova a rifare l’esercizio 1 e nota se ci sono delle differenze

 

Articolo pubblicato su Vivere la Psicologia il 24/02/22

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